Diego Comba

L’esperto nella composizione negoziata della Crisi d’Impresa – Diego Comba

Intervento dal Webinar “Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili ex art. 2086 c.c.” organizzato da Ascheri Academy il 03 ottobre 2024.

Introduzione

La Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa (CNC) rappresenta uno strumento innovativo per affrontare le difficoltà economiche delle imprese, puntando su soluzioni negoziali basate sull'autonomia contrattuale. Questo approccio, introdotto dal D.lgs. n. 14/2019 e successivamente integrato dal D.lgs. n. 136/2024, consente di superare la crisi senza ricorrere al controllo giurisdizionale, garantendo maggiore flessibilità e rapidità.
A differenza delle procedure tradizionali, la CNC non richiede l’intervento del giudice, ma si basa sull’interazione tra le parti, coordinate da un esperto nominato dalla Camera di Commercio. Questo professionista ha il compito cruciale di facilitare le trattative, favorendo accordi che possano rilanciare l’attività dell’impresa.
L’esperto svolge un ruolo chiave nel negoziare con attori strategici come l’Agenzia delle Entrate – grazie alle novità introdotte dal D.lgs. 136/2024 – e con gli istituti di credito, che devono collaborare attivamente senza sospendere le linee di credito esistenti. Gli elementi centrali di questa procedura sono l’imprenditore, le parti contrattuali e il contesto flessibile della CNC, in cui il dialogo e la cooperazione diventano strumenti essenziali per superare la crisi.

1. Il Ruolo della Mediazione per l’Esperto

Per comprendere appieno il ruolo della mediazione nella Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa (CNC), è fondamentale chiarire il concetto stesso di mediazione e il suo rilievo in questo ambito specifico. La mediazione si configura come un’attività svolta da un terzo imparziale che ha l’obiettivo di facilitare il raggiungimento di un accordo tra le parti coinvolte in una controversia. Si tratta di un processo volontario e collaborativo, nel quale il mediatore opera come facilitatore, aiutando le parti a individuare soluzioni condivise.
A differenza di un’autorità decisoria, il mediatore non esercita poteri coercitivi né assume un ruolo di rappresentanza per alcuna delle parti. Non è un ausiliario del giudice, ma un soggetto neutrale incaricato di favorire il dialogo e agevolare la costruzione di accordi vantaggiosi per tutti i soggetti coinvolti. Questa configurazione rende la mediazione particolarmente adatta alla CNC, dove la cooperazione tra le parti rappresenta una condizione essenziale per il successo delle trattative.

1.1. Il quadro normativo

In Italia, la mediazione civile e commerciale è regolata dal D.lgs. 28/2010, che la definisce come un’attività volta a favorire la composizione amichevole di una controversia con l’assistenza di un terzo imparziale. Questa disciplina si collega strettamente al Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.lgs. 14/2019), che sottolinea l’importanza di soluzioni negoziali per preservare la continuità aziendale.
Un riferimento specifico che lega la mediazione alla CNC è l’art. 5 del D.lgs. 28/2010, il quale prevede che la mediazione possa essere avviata volontariamente o in conformità a una clausola contrattuale. Nel contesto della crisi d’impresa, questo strumento diventa un mezzo privilegiato per rinegoziare contratti esistenti o per stipularne di nuovi, promuovendo una gestione delle relazioni commerciali basata su equilibrio e sostenibilità.

1.2. La giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza ha contribuito significativamente a chiarire il ruolo e l'importanza della mediazione. In particolare, la sentenza della Corte di Cassazione n. 8473/2019 ha evidenziato che la mediazione non deve essere considerata una mera formalità procedurale, ma un’opportunità concreta per le parti di risolvere la controversia in modo vantaggioso, evitando i costi e i tempi di un contenzioso.
Inoltre, la Cass. n. 3128/2020 ha ribadito l’importanza del principio di buona fede durante le trattative, sottolineando che il mediatore deve garantire un contesto di trasparenza e collaborazione leale tra le parti, anche in situazioni di squilibrio contrattuale. Questi principi sono particolarmente rilevanti nell’ambito della CNC, dove la buona fede rappresenta il fondamento delle trattative.

1.3. Il ruolo dell’esperto nella CNC

Nella Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa (CNC), l’esperto svolge un ruolo centrale: facilitare la trattativa tra l’imprenditore e le parti contrattuali al fine di raggiungere soluzioni negoziali che consentano il superamento dello stato di crisi. La natura di questo ruolo pone diverse sfide, a partire dall’assenza di poteri coercitivi. L’esperto, infatti, non può imporre accordi, ma deve persuadere le parti a partecipare attivamente al processo negoziale.
Una delle domande fondamentali riguarda proprio la base su cui l’esperto deve costruire questa persuasione. Non avendo autorità decisionale, su quali strumenti può contare per creare fiducia tra le parti? La risposta risiede nella sua capacità di dimostrarsi neutrale, autorevole e competente, garantendo che il processo negoziale sia trasparente e orientato a soluzioni reciprocamente vantaggiose.
Un ulteriore quesito riguarda il rispetto del principio di buona fede. L’esperto è chiamato a vigilare affinché tutte le parti osservino il dettato dell’art. 4 del Codice della Crisi, evitando comportamenti ostruzionistici che possano compromettere le trattative. Questo implica non solo un’attenta gestione del dialogo, ma anche l’adozione di metodi per documentare e valutare il comportamento delle parti durante il processo.
Infine, un punto cruciale è come l’esperto possa trasformare la diffidenza iniziale – tipica di molti contesti di crisi – in una volontà concreta di negoziare. La sua abilità nel gestire conflitti e nel proporre soluzioni praticabili gioca un ruolo essenziale, ma non è sufficiente. È necessario che egli sappia anche valorizzare gli interessi comuni delle parti, facendo leva sui benefici a lungo termine di un accordo collaborativo.
Questi aspetti delineano la complessità del ruolo dell’esperto, che non si limita a coordinare incontri o gestire comunicazioni, ma si estende alla creazione di un ambiente negoziale che consenta alle parti di intraprendere un percorso costruttivo e orientato al rilancio aziendale.

1.4. Lo stato attuale delle trattative effettuate dall’esperto

L’attività dell’esperto nella CNC si concentra sulla gestione delle trattative tra l’imprenditore e le parti contrattuali, in un contesto in cui ciascun attore ha la possibilità di compiere scelte strategiche per il futuro dei propri interessi. Ad esempio, i creditori possono decidere se tentare di ottenere un pagamento immediato, uscendo così dal rapporto contrattuale, oppure ristrutturare il debito, mantenendo il rapporto commerciale con l’impresa in crisi. Queste decisioni rappresentano momenti cruciali del processo negoziale.
Tuttavia, l’analisi dei dati raccolti sulla CNC mostra un quadro complesso: su oltre 1.450 domande presentate, solo 153 hanno avuto un esito positivo (Fonte: Rapporto Unioncamere, 17 maggio 2024). Questo risultato solleva interrogativi sull’efficacia della procedura e sulla sua capacità di produrre risultati concreti. In risposta a tali criticità, il legislatore ha introdotto il D.lgs. 136/2024, che ha rafforzato il ruolo dell’esperto richiedendo una rendicontazione più dettagliata delle attività svolte, incluse le opinioni fornite e i progressi negoziali registrati.
In tale contesto, l’esperto assume il ruolo di una vera e propria “bussola” per il processo negoziale. Egli non solo coordina le trattative, ma rende conto delle dinamiche tra le parti, individuando eventuali ostacoli e opportunità per il raggiungimento di un accordo. La figura dell’esperto diventa quindi essenziale per garantire che il processo negoziale sia condotto nel rispetto dei principi fondamentali della CNC.

1.5. La buona fede come principio guida

Tra i principi fondamentali, emerge con particolare forza quello della buona fede. Come sottolineato dal professor Massimo Fabiani nel volume Sistema, principi e regole del diritto della crisi d'impresa, la buona fede rappresenta non solo un principio generale, ma una “clausola generale di sistema” che guida le interazioni contrattuali nelle procedure di composizione negoziata. Fabiani evidenzia che “la buona fede si pone come limite e al tempo stesso guida per l’autonomia contrattuale, richiedendo comportamenti leali, collaborativi e orientati al superamento della crisi”.
Questa impostazione trova ulteriore conferma nel saggio “I doveri delle parti e la buona fede nella composizione negoziata”, in cui Fabiani sottolinea la necessità di utilizzare con prudenza il concetto di buona fede, per evitare che un’interpretazione troppo ampia possa destabilizzare le relazioni contrattuali. Egli descrive la buona fede come un principio-regola operativo, che si traduce nella necessità per le parti di evitare comportamenti opportunistici e di contribuire attivamente alla ricerca di soluzioni equilibrate.
Questi approfondimenti rafforzano l’idea che la buona fede, nella CNC, non si limiti a una funzione etica o astratta, ma diventi un criterio pratico e vincolante per la conduzione delle trattative. L’esperto, quindi, è chiamato non solo a vigilare sul rispetto della buona fede, ma anche a promuoverla attivamente come strumento per costruire un dialogo trasparente e collaborativo.

2. La buona fede nelle trattative: evoluzione del concetto di buona fede

Per comprendere appieno il ruolo della buona fede nella Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa (CNC), è necessario analizzare la sua evoluzione normativa e giurisprudenziale, nonché il dibattito dottrinale che ne ha accompagnato l’applicazione.

2.1 La buona fede nel sistema giuridico italiano: origini e interpretazioni iniziali

Il principio di buona fede è sancito dall’art. 4 del Codice della Crisi d’Impresa, che impone alle parti l’obbligo di evitare comportamenti che possano compromettere gli interessi degli altri soggetti coinvolti. Questo principio, tuttavia, ha radici più profonde nel nostro ordinamento, trovando il suo fondamento nell’art. 1337 del Codice civile, che stabilisce l’obbligo di comportarsi secondo buona fede durante le trattative e nella formazione del contratto.
Le prime interpretazioni dottrinali della buona fede erano fortemente ancorate a una visione formalistica e protocollare. In questa prospettiva, la buona fede veniva vista come un insieme di obblighi accessori e formali, come la corretta informazione, la custodia del segreto e il compimento di atti necessari per la validità del contratto. Commentatori classici, come riportato nel Commentario Cian-Trabucchi degli anni ’80 e ’90, evidenziavano un approccio limitato, in cui la buona fede era considerata una “cornice etica” piuttosto che una regola operativa vincolante.
A questa visione si accompagnava l’idea che l’autonomia contrattuale fosse pressoché assoluta, limitata unicamente da norme imperative e inderogabili. La buona fede, in tale contesto, non aveva la forza normativa per vincolare le parti oltre l’adempimento degli obblighi minimi di correttezza.

2.2. L’evoluzione giurisprudenziale: dalla formalità all’operatività

A partire dagli anni ’80, il concetto di buona fede ha iniziato a essere reinterpretato dalla giurisprudenza come una regola sostanziale e dinamica, capace di influenzare non solo la fase delle trattative, ma anche l’esecuzione del contratto. Questa evoluzione è culminata con la sentenza della Corte di Cassazione n. 3128/2020, che ha esteso il principio di buona fede alla fase esecutiva, imponendo alle parti di preservare le utilità reciproche derivanti dal contratto.

2.3. La buona fede durante il Covid-19: un banco di prova

La pandemia ha rappresentato un punto di svolta per l’applicazione del principio di buona fede. Le difficoltà economiche e logistiche hanno richiesto una profonda rinegoziazione dei contratti, con Tribunali e Cassazione chiamati a pronunciarsi su situazioni di squilibrio contrattuale. In particolare, la Relazione Tematica n. 56/2020 della Corte di Cassazione ha affrontato l’impatto della pandemia sui contratti, approfondendo il ruolo della buona fede e dell’obbligo di rinegoziazione.
La Corte ha ribadito che, in base all’articolo 1375 del Codice Civile, le parti sono tenute a eseguire il contratto secondo buona fede. Quando circostanze straordinarie e imprevedibili – come la pandemia – alterano l’equilibrio contrattuale, le parti devono impegnarsi per rinegoziare le condizioni del contratto, ripristinando un equilibrio equo. La Cassazione ha chiarito che tale obbligo non contraddice il principio di autonomia contrattuale, ma si pone come strumento per realizzare l’intento originario delle parti, adattando il contratto alle nuove circostanze.
Un aspetto fondamentale sottolineato dalla Corte riguarda il ruolo del giudice. In caso di mancata rinegoziazione o di rifiuto ingiustificato da parte di uno dei soggetti coinvolti, il giudice può intervenire per modificare le condizioni contrattuali, garantendo l’equità e il rispetto del principio di buona fede. Questo orientamento giurisprudenziale ha avuto un impatto significativo, offrendo un quadro di riferimento per affrontare le controversie contrattuali sorte durante l’emergenza sanitaria.

2.4 La buona fede nella CNC: un principio operativo

Il principio di buona fede assume una funzione centrale anche nella CNC, dove le parti devono collaborare per costruire soluzioni sostenibili. Come sottolineato dal professor Massimo Fabiani nel suo volume Sistema, principi e regole del diritto della crisi d'impresa, “la buona fede è il filo conduttore che permette di bilanciare gli interessi dell’imprenditore e dei creditori, creando le condizioni per un accordo ragionevole”. Fabiani evidenzia inoltre che, nella CNC, la buona fede non è solo una regola generale, ma un criterio operativo che guida le scelte delle parti e dell’esperto.
In definitiva, la buona fede nella CNC non è un semplice vincolo etico, ma costituisce un presupposto indispensabile per il successo delle trattative. L’esperto, nel suo ruolo, deve vigilare sul rispetto del principio e promuoverlo attivamente come strumento per costruire un dialogo trasparente e collaborativo.

3. La buona fede nella CNC: looking forward e pensiero progettuale

La buona fede costituisce il fondamento del comportamento delle parti coinvolte nella Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa (CNC). Questo principio, sancito dall’articolo 4 del Codice della Crisi, richiede che tutte le parti si astengano da atteggiamenti ostruzionistici o opportunistici, favorendo invece un dialogo trasparente e costruttivo. Nel contesto della CNC, la buona fede assume una dimensione dinamica, diventando la chiave per orientare le trattative verso soluzioni sostenibili.

3.1. La buona fede come criterio operativo nella CNC

Nel processo negoziale, la buona fede non è soltanto un obbligo formale, ma rappresenta un criterio operativo che incide direttamente sull’esito delle trattative. La sua applicazione si manifesta nella disponibilità delle parti a collaborare attivamente, superando interessi individuali a breve termine per costruire un equilibrio che tenga conto della continuità aziendale. Questo principio, già presente nel Codice Civile con l’articolo 1337 sulla responsabilità precontrattuale, viene reinterpretato nella CNC come strumento per garantire la sostenibilità del processo.
La buona fede, in questo contesto, non si limita a un vincolo giuridico astratto, ma diventa un elemento che orienta l’intera strategia negoziale. Come sottolineato dal professor Massimo Fabiani, essa rappresenta l’elemento fondamentale per creare un "ragionevole equilibrio" tra imprenditore e creditori. La sua importanza non si esaurisce nelle trattative precontrattuali, ma si estende alla fase di esecuzione e rinegoziazione dei contratti, come evidenziato dalla giurisprudenza più recente.

3.2. Il ruolo del looking forward nella CNC

Un aspetto centrale introdotto dal legislatore è il concetto di looking forward, che richiama la necessità di adottare una prospettiva progettuale orientata al futuro. In un contesto come quello della CNC, in cui il soddisfacimento immediato dei creditori può entrare in conflitto con la continuità aziendale, il looking forward si traduce nella capacità di considerare non solo le problematiche attuali, ma anche le potenzialità di rilancio.

Questo approccio progettuale richiede che l’esperto, in collaborazione con le parti, non si limiti a risolvere le difficoltà contingenti, ma promuova soluzioni che tengano conto delle risorse disponibili, delle opportunità di mercato e della sostenibilità a lungo termine dell’impresa. Tale visione si collega strettamente al principio di buona fede, che diventa il criterio per orientare le decisioni verso un equilibrio più ampio e duraturo.

3.3. I bias cognitivi e le decisioni delle parti

Un ostacolo significativo nel processo negoziale della CNC è rappresentato dai bias cognitivi, che influenzano il comportamento delle parti, ostacolando un dialogo razionale e costruttivo. Daniel Kahneman, nel suo studio sulla psicologia delle decisioni, descrive come il sé mnemonico tenda a focalizzarsi sui momenti critici e sulla fine di un’esperienza, ignorandone il contesto complessivo.
Nel caso della CNC, questo si traduce in una visione distorta della crisi d’impresa, percepita esclusivamente come fallimento, piuttosto che come un’occasione di trasformazione. Le parti, condizionate da pregiudizi e paure, spesso si concentrano sulle perdite subite, ignorando le possibilità di rilancio offerte dal processo negoziale. L’esperto, in questo contesto, ha il compito di intervenire per superare queste distorsioni cognitive, aiutando le parti a valutare le opportunità future in modo più razionale.

3.4 Il ruolo proattivo dell’esperto

Per tradurre in pratica il principio di buona fede e il concetto di looking forward, l’esperto deve assumere un ruolo attivo e produttivo. Questo significa: promuovere un dialogo costruttivo, ossia non limitarsi a registrare le dichiarazioni delle parti, ma guidare il processo negoziale, identificando interessi comuni e proponendo soluzioni concrete; superare le rigidità iniziali, quindi favorire il superamento delle posizioni difensive attraverso un’analisi approfondita delle esigenze di ciascuna parte; documentare le trattative al fine di garantire la trasparenza e tracciare il rispetto del principio di buona fede da parte di tutti i soggetti coinvolti.
Queste attività richiedono competenze specifiche, che spaziano dalla gestione delle relazioni interpersonali alla conoscenza delle dinamiche aziendali. L’esperto deve essere in grado di bilanciare le esigenze dei creditori con quelle dell’impresa, creando un percorso che tenga conto di entrambe le prospettive.

4. La costruzione del superamento della crisi d’impresa

4.1 Il ruolo dell’esperto come garante del processo

Nel contesto della CNC, l’esperto svolge un ruolo essenziale non solo come facilitatore, ma anche come garante dell’intero processo negoziale. La sua funzione va oltre quella di semplice coordinatore: egli è chiamato a raccogliere, interpretare e documentare elementi che attestino la buona fede delle parti. Questo compito richiede non solo competenze tecniche, ma anche capacità di analisi e un approccio strategico che tenga conto delle dinamiche interpersonali e negoziali.
Un elemento cruciale è rappresentato dalla tracciabilità della buona fede, che deve emergere chiaramente dalla corrispondenza tra le parti e dagli incontri separati. Questi momenti consentono di analizzare le posizioni in modo approfondito, identificando eventuali rigidità o pregiudizi. Inoltre, la documentazione dei verbali e dei pareri tecnici rappresenta uno strumento fondamentale per illustrare lo stato delle trattative e le proposte avanzate, garantendo trasparenza e coerenza.

4.2. Le difficoltà nel tracciare la buona fede

Nonostante il ruolo strategico dell’esperto, tracciare la buona fede resta una sfida complessa. Come sottolineato dalla Corte di Cassazione in diverse sentenze, tra cui la n. 3128/2020, la buona fede non è un concetto statico, ma un principio dinamico che si manifesta attraverso comportamenti concreti. Tuttavia, nella pratica, essa rischia di diventare sfuggente, simile a un’“araba fenice”, difficile da individuare e dimostrare.

Questa difficoltà è amplificata dalla progressiva riduzione delle norme imperative, che un tempo garantivano un quadro di riferimento più rigido. Con l’evoluzione della giurisprudenza, molte di queste norme sono state sostituite dall’autonomia contrattuale, lasciando alla buona fede il compito di bilanciare gli interessi. A ciò si aggiunge la resistenza delle parti, spesso condizionate da posizioni rigide che ostacolano il dialogo e il progresso delle trattative.

4.3. Superare i limiti: il ruolo proattivo dell’esperto

Per affrontare queste sfide, l’esperto deve adottare un approccio proattivo, andando oltre la semplice registrazione degli eventi. Stimolare il dialogo tra le parti è fondamentale, guidandole fuori dalla loro zona di comfort e proponendo soluzioni innovative che consentano di superare gli ostacoli. Un elemento cruciale del suo lavoro consiste nel documentare in modo strategico ogni passaggio del processo, dimostrando concretamente se le parti abbiano agito in buona fede. Attraverso un’attenta gestione delle differenze e una costante mediazione, l’esperto può creare un contesto che favorisca la costruzione di un consenso.

Conclusioni

La buona fede è destinata a rimanere un elemento centrale della CNC, soprattutto in un contesto in cui le norme imperative continuano a lasciare spazio all’autonomia delle parti. Tuttavia, il legislatore richiede che questa autonomia sia esercitata responsabilmente, con un impegno concreto verso il dialogo e la collaborazione.
La documentazione dettagliata e trasparente richiesta all’esperto non è solo una formalità, ma uno strumento fondamentale per rendere tangibile un concetto altrimenti sfuggente. Attraverso questa attività, l’esperto può contribuire a valorizzare la buona fede come chiave di volta per il successo delle trattative, trasformandola da “araba fenice” a pilastro del rilancio aziendale.
03 ottobre 2024 – Diego Comba





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